Rai Museo Nazionale: Giovanni Bellini - 'Battesimo di Cristo' (trascrizione, seconda parte)
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Rai Museo Nazionale: Giovanni Bellini - 'Battesimo di Cristo' (trascrizione, seconda parte)

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  • Rai Museo nazionale: Giovanni Bellini - Battesimo di Cristo 
    • Giovanni Bellini, Battesimo di Cristo (1501–1502), tempera e olio su tavola, 410 x 265cm, Vicenza, Chiesa di Santa Corona
    • Trascrizione

    [09:03]

    Quest'opera, quest'opera che è amante della sua bellezza al quinto altare di Santa Corona è il Battesimo di Cristo di Giovanni Bellini, una di quelle opere che hanno fatto la storia dell'arte di ogni tempo. Perché, questo complesso che possiamo ammirare appunto qualche metri di distanza ponendoci al centro rinnovato è qualche cosa che cogliamo nella sua integrità, solo vedendo la pala d'altare e la sua ancona lapidea, perché tutto sviluppato su di una direttrice verticale questi 40 metri di altezza che iniziano su in alto con la statua del Cristo risorto acoronamento scendiamo sulla verticale troviamo una Madonna lattante il Bambino, tre cherubini a basso rilievo e finalmente entriamo nell'opera di Giovanni Bellini. Un'opera in cui la prima figura che ci accoglie è un Dio Padre circondato dei cherubini, al di sotto lo Spirito Santo e poi la mano con il bacile di Battista infine [?indiretta fontana?] un Cristo, il cui sguardo magneticamente fisse il nostro al interno di un'ancona ancora fedele alla tradizione. Sulla sinistra c'è una macchia di colore sulla ribalta c'è l'accesa vivazione chromatica di tre figure femminile, sono personificazione di Fede, Speranza e Carità, le tre virtù teologali a far dell'arte della tunica rossa e del manto blu di Cristo che compongo la scena insieme a un paesaggio immanente bilanciate dalla parte apposta del Battista; ebbene, questo paesaggio memoria dell'ampia valle del Giordano è qualche cosa ha rivoluzionato la storia dell'arte, perché per la prima volta in questo Battesimo di Cristo di Giovanni Bellini vediamo che tutto effuso dalla luce atmosferica. Abbiamo una prospettiva cromatica segnata della linea aranciata che separe l'ambito divino di Dio battezzante da quello del figlio battezzato attraverso il Battista, e poi, questo straordinario altare lapideo, un altare lapideo che ci racconta la storia di chi ha commissionato a Giovanni Bellini quest'opera.

    Perché quest'opera si trova a Vicenza, Vicenza che nel secondo Quattrocento era uno delle capitali del mondo allora conoscuito per la produzione tessile. Una produzione tessile che faceva capo la corporazione degli “annaioli" che scriveva quasi settemila anime in una città non uno di grandi centri dell'Italia di allora. C'erano i cimatores, [?i sillizzari, i tessitores?], i tintores e i garzatores. I garzatores egli hanno detti alla cardatura della lana. Tra di essi spiccava un personaggio, era Battista Graziani, detto Garzadori, dall'attività da cui provenivano le rendite di famiglia. Questo Battista Garzadori era un'uomo di una certa cultura, era [?un po' dilettante?], era un sodale di Gian Giorgio Trissino e da 1480 Conte Palatino per volere il Re Federico III da cui era già stato ministro di stato e della guerra seguendo con l'avvocazione figlio imperiale che sempre ha distinto l'aristocrazia vicentina.

    Battista Garzadori fa un pellegrinaggio in terra santa e quando giunge sul Giordano, quel Giordano che vede il battesimo di Cristo da parte del Battista, Garzadori fa un voto di offrire un suo cello dedicato al suo santo eponimo se fosse tornato salve in patria. Il 26 novembre 1500 chiede al priore del tempio di Santa Corona, Agostino di Mantova, di concidergli lo spazio per dirigere quest'altare. Per dirigere quest'altare destina al tutto seidici stagli di frummento, dieci lire e sei soldi, cui poi aggiungerà trecento aureos d'oro destinati al convento per realizzare il tutto. E il tutto è una straordinaria macchina scenica, quella macchina scenica che abbiamo descritto, con la pala di Giovanni Bellini e soprattutto una stupenda e stupefacente cornice lapidea. Tutti stretti [?] oggi siamo abituati nei nostri musei a vedere le pala dell'altare assolutamente decontestualizzati, quindi vediamo una pala senza le sue cornice, senza il rapporto che la costringeva, ma che soprattutto la raccontava all'interno della chiesa. Ebbene in questo caso, in questo nostro museo di Santa Corona, abbiamo la possibilità di vedere la cornice lapidea e la sua parte pittorica. Recendiamo conto che non potrebbe vivere l'uno senza l'altro, perché i capitelli delle cornice segnano il momento dell'ostacolo tra mondo o tra il terreno a dire quello terreno dove si svolge il battesimo. Ma soprattutto la cornice ci racconta il viaggio, un viaggio da cui non era assolutamente banale ritornare, cioè ritornara della terra santa nella 1500 era un'esperienza certo epica e Garzadori torna verso casa raccogliendo tutto quello che trova al livello di marmi policromi, quei marmi policromi che oggi sedimentano l'altare impreziozendolo insieme ad una usitata profusione lapislazzuli dorature [?] pilastri, pilastrini, fusti della corona, poi porfidi, serpentine, marmi proveniente della Palestina, della Grecia, di tutti territori in terra santa di viaggio; è una parte lapidea che ci mostra la vittoria della cristianità su quel paganesimo rappresentato dei tritoni, sireni, nereidi, centauri, unicorni, bucrani, festoni dei fiori e delle frutta e ricche cornucopie a farci pensare come tutto venga superato dal Cristo che fa rinascere un nuovo mondo.

    Di quest'opera Roberto Longhi, grande storico dell'arte italiano, raccontava come il suo colore avesse una densità di un respiro che viene dal profondo; e Marco Boschini, nella Carta del navegar pitoresco che nel 1660 in quel racconto straordinaro della pittura veneziana dei secoli precedenti ci racconta come:

    "Zambelin se puol dir la primavera del mondo tuto, in ato de Pitura: perché da lu deriva ogni verdurae e senza lu l’arte un inverno giera."

    [15:45]

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